Il terzo Ladakh - Riflessioni sulle distanze

Terzo viaggio in Ladakh. Lo definirei il viaggio della sintesi. Lungi dall'idea di avere capito il Ladakh, la sintesi riguarda me e il mio rapporto col viaggio, il viaggio come attivita' umana, come luogo dove l'immaginario personale trova una realizzazione, dove la concretezza del sogno si confonde con la magia dei luoghi reali...
Terza sequenza di voli aerei per raggiungere prima Delhi, poi, con il consueto scavalcamento mozzafiato della catena himalayana, Leh, nel cuore del mio sogno. Per chi, come me, e' spaventato dal volo, gia' il viaggio aereo potrebbe rappresentare da solo un'avventura. Specialmente questa volta: partenza da Venezia, poi scalo a Roma, poi ad Amman, infine Delhi. Tre decolli e tre atterraggi, sei normali eventi che per i paurosi del volo rappresentano i momenti peggiori del viaggio.
Ma non e' la paura del volo che mi fa preferire altri mezzi per viaggiare. E' che in volo si perde il senso della distanza, la sensazione dell'andare. In tutti gli aerei i riti sono identici, qualsiasi sia il luogo di partenza, qualsiasi sia la meta. Tutto cio' che sta in mezzo tra partenza e destinazione viene appiattito dal solito rito: accoglienza a bordo - pasto sintetico - film - si cerca di dormire - non ci si riesce - si atterra - jet lag. Questa e' la distanza reale percorsa in volo tra partenza e destinazione. Quando parto da Venezia il mattino e' freddo e piovoso, quando arrivo a Delhi e' notte, fa caldo ed e' umido: non fa niente. Non c'e' distanza, e' come guardare la televisione e cambiare canale, certo, l'effetto di esserci e' piu' realistico rispetto alla televisione, ma prima o poi troveranno il modo di far pilotare al lettore DVD l'impianto di climatizzazione di casa, e allora sara' eliminata anche l'ultima differenza.

I viaggi via mare o via terra sono un'altra cosa, lo capisci che ti stai spostando. Anche l'andare semplicemente dall'Italia alla Grecia in traghetto ti da una diversa dimensione, percorri una distanza mentale diversa. E poi sul traghetto puoi muoverti, osservare le persone che stanno viaggiando, fai in tempo a capire che una parte dell'umanita' che sta percorrendo il tuo stesso tratto di mare lo fa con motivazioni diverse. Mentre tu vai, altri si muovono nella stessa direzione per tornare, mentre torni dal viaggio altri si allontanano da casa per andare a lavorare, eppure si muovono con te. Questa umanita' rappresenta in maniera tangibile la distanza che stai percorrendo tra il tuo punto di partenza e la tua destinazione, rappresenta 'quello che sta in mezzo', il continuum tra il tuo piccolo orizzonte domestico ed il sogno che insegui col tuo viaggio.

Si capiscono molte cose, viaggiando ad un ritmo piu' lento.


Questa strada dritta attraversa il punto dove la Nubra Valley si biforca, attraversando una pietraia intervallata da dune di sabbia. Nel periodo del disgelo l'acqua del fiume Shayok puo' arrivare a coprire questa pietraia. Per questo motivo i paesi sono abbarbicati sui fianchi delle montagne ai lati della valle.

In qualche modo questa volta il ritmo del volo e' risultato spezzato dallo scalo ad Amman, durato qualche ora trascorsa all'interno dell'aeroporto, un tempo sufficiente per notare lo stridore tra le merci di lusso esposte nelle vetrine patinate del fornitissimo duty free, identico a quello che si puo' trovare a Roma, Parigi o Monaco, ed il paesaggio tipicamente medioorientale che si intravvede all'esterno, dall'aria selvaggiamente desolata e inesorabilmente afflitta da un velo di sabbia che si infiltra ovunque.
Il senso dell'andare. Anche se separato da finestre a tenuta stagna il paesaggio della Giordania lancia un messaggio inequivocabile: si sta andando. Ma, questa volta, non c'e' bisogno del paesaggio per capirlo.

Durante il volo da Roma ad Amman nella poltrona a fianco alla mia sedeva un signore dall'aria chiaramente medioorientale. Alla partenza lo guardai appena, salutandolo, impegnato com'ero a coltivare e controllare la mia paura di volare. Quando finalmente l'aereo raggiunse la quota di crociera, mi rilassai un po' ed ebbi modo di osservarlo con maggiore attenzione. Sembrava sulla cinquantina, brizzolato. Il suo abbigliamento di foggia occidentale, che appariva dignitoso anche se di stile datato, mi ricordava il modo di vestire delle classi operaie nei paesi dell'est europa prima del crollo del blocco sovietico.
Stava leggendo un quotidiano giordano, e, sbirciando i titoli in inglese, notai il grande risalto che veniva dato nelle notizie alle vicende palestinesi ed irachene. Non solo cronaca bellica, come siamo abituati a leggere sui quotidiani italiani, ma anche approfondimenti, commenti, fatti politici. Mi sorpresi della mia sorpresa mentre prendevo atto che, anche in quei paesi, dei quali le uniche notizie che arrivano a noi riguardano situazioni di conflitto, terrorismo o guerra, esiste una dialettica, vi sono dei dibattiti, esistono analisi politiche, sociali, esistono delle dinamiche culturali molto simili alle nostre. Soprattutto mi sorpresi del fatto che io, pur sapendo dell'esistenza di questa realta', l'avessi rimossa appiattendomi sull'informazione relativa alla cronaca bellica o alla politica internazionale, finendo, di fatto ed inconsciamente, per considerare irrilevante l'esistenza di dibattiti, discussioni ed opinioni che non avessero l'imprimatur dagli organismi politici internazionali.

Anche l'aereo a volte fornisce qualche momento di emozione: durante il volo da Srinagar a Leh il tempo sereno ci ha regalato questa vista grandiosa sulla catena del Karakhorum, nella quale spicca il caratteristico profilo del K2, chiamato Chogori dai locali.


Mentre ero intento in queste riflessioni, il signore mediooorientale, probabilmente accortosi della mia attenzione, mi si rivolse in inglese chiedendomi se volessi aiutarlo a risolvere un giochino matematico che era sul giornale. Era chiaramente un pretesto per iniziare a conversare, cosi', appena entrambi dichiarammo che erano piu' di vent'anni che non affrontavamo sistemi di equazioni, ci dimenticammo del giochino ed iniziammo a conversare. Era iracheno, ed era fuggito dall'Iraq piu' di vent'anni fa, rifugiandosi in Marocco dove aveva lavorato come operaio. Ora era stato rimpatriato dalle autorita' marocchine, e stava ritornando a Baghdad. Non aveva piu' avuto notizie dei suoi familiari, non sapeva se fossero vivi o se fossero stati uccisi o deportati dal regime di Saddam Hussein, oppure dalla guerra in atto in questo momento. Si espresse proprio cosi' "Killed in the war", con buona pace di chi afferma che non si tratta di guerra, ma di pace. Non sapeva se avrebbe ritrovato la sua casa, non sapeva se la sua casa fosse ancora in piedi, tornava a casa dopo piu' di vent'anni andando incontro all'ignoto con una specie di serena rassegnazione. Sembrava quasi che la cosa che lo scandalizzava di piu' fosse il costo del biglietto aereo da Amman a Baghdad: 500 euro per un volo di un'ora, di sola andata. La sua sottolineatura della frase 'di sola andata', nonostante fosse stata fatta per rimarcare quanto fosse costoso il volo, a me diede un brivido al pensiero del significato piu' tragico che avrebbe potuto avere quella frase in quel contesto, ma lui parlava in maniera pacata, tra l'emozionato per il rientro in patria ed il rassegnato per cio' che avrebbe potuto trovarvi.

Dal medio oriente fino agli altopiani del Tibet la sabbia portata dal vento e' una costante del paesaggio, alla quale non si sottrae nemmeno la citta' di Leh.


Solo per un momento la sua pacatezza lascio' il posto ad una ferma indignazione, quando gli chiesi la sua opinione sull'intervento degli Stati Uniti in Iraq. Disse che si trattava di una guerra assurda, ingiustificata e criminale, che portava solo ulteriore distruzione e morte al suo paese gia' cosi' duramente provato, di non credere minimamente alla buona fede di chi raccontava di voler portare pace e democrazia, presentando pero' bombe e cannoni come biglietto da visita e non tenendo minimamente conto della vita e della cultura della sua gente. Disse molte cose, piu' o meno simili a quelle che si sentono dire dai rappresentanti dell'area pacifista che ha tentato di opporsi alla guerra in Iraq. Ma queste cose, sentite dire da uno che piu' di vent'anni fa ha lasciato il proprio paese per salvare la propria vita, e che ora vi ritorna con un biglietto di sola andata, non sapendo se vi trovera' la vita o la morte, beh, pesano, pesano molto.
All'arrivo ad Amman, al momento di salutarci lui mi auguro' buon viaggio, e io non seppi rispondergli altro che "Buona fortuna, ne avrai bisogno, inch'Allah". Lui sorrise e annui', e poi scomparve oltre la porta dell'uscita.

La distanza, il senso dell'andare, quello 'che sta in mezzo' tra la partenza e la destinazione. Questo mi affascina del viaggio.

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