Il terzo Ladakh - Di nuovo a casa? Finalmente!
Uscimmo dalla foschia del caldo indiano solo in prossimita' di Srinagar.
L'aereo aveva preso quota dopo il decollo da Delhi, ma l'umidita', che
impregnava l'aria ed il cielo, sembrava voler negare la vista mozzafiato
che avevo preannunciato ai miei compagni di viaggio.
La terra ritorno' a farsi vedere solo in prossimita' dell'aeroporto
di Srinagar, regalando un paesaggio diverso dagli orridi himalayani
che tutti si aspettavano. La dorata livrea autunnale dei prati del
Kashmir, punteggiata qua e la da case dal tetto di lamiera, e rigata
da strade sterrate, mi fece pensare immediatamente al paesaggio
dell'altopiano di Asiago. Certo era sempre uno spettacolo notevole,
e fu un'emozione vedere la pista di atterraggio materializzarsi dal
nulla sotto le ali dell'aereo, sbalzata verso l'alto dall'imponente
parete rocciosa, quasi verticale, che sostiene il pianoro sul quale
e' costruito l'aeroporto.
La sosta duro' poco piu' di mezz'ora, il tempo di far
scendere i passeggeri diretti in Kashmir e di far ispezionare l'aereo
dagli addetti alla sicurezza. L'ostentata meticolosita' con la quale
improbabili personaggi in turbante sembravano controllare ogni angolo
dell'aereo, pur lasciando qualche dubbio sull'efficacia di un simile
controllo, senz'altro servi' a ricordare che eravamo seduti su uno
dei punti caldi del pianeta. Ciononostante non potei fare a meno di
trovare comico il contrasto tra l'abbigliamento casual-montanaro
fuori ordinanza dei controllori kashmiri rispetto alle impeccabili,
linde e pompose divise degli omologhi a Delhi.
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In volo da Srinagar a Leh... Una distesa di montagne imponenti...
almeno finche' la vista non raggiunge la mole ghiacciata del
Nanga Parbat all'orizzonte!
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La salita a bordo dei passeggeri diretti da Srinagar a Leh fu il
primo segnale del cambiamento. Ai turbanti, che incoronavano volti
bruni dall'espressione sussiegosa in cui brillavano profondi occhi scuri,
si sostituirono le teste rasate di alcuni giovani lama e le capigliature
nere e lisce di alcune giovani dalle lunghe trecce. I volti, ora di
colore dorato e dall'espressione serena e ridente, cosi' come gli occhi,
dall'iride cangiante e dal profilo a mandorla con gli angoli esterni
leggermente rivolti in su, esprimevano una mite allegria.
Aria di Ladakh. Il cambiamento fu definitivamente sancito, poco dopo
il decollo, dalla vista che si perdeva all'infinito nell'aria ora
cristallina. Un dedalo di montagne, di valli, di cime innevate e di
immense lingue di ghiaccio rugate da crepacci si estendeva a perdita
d'occhio. Incuranti della raccomandazione di rimanere seduti con le
cinture allacciate, ci muovevamo da un lato all'altro dell'aereo,
quasi temendo di perdere una sola prospettiva di quella vista
indescrivibile ed emozionante. Ci riempivamo gli occhi di quello
spettacolo, cercando di fissare le sensazioni in maniera indelebile
sulla pellicola del ricordo. Ecco, si staglia all'orizzonte il
Nanga Parbat, l'immensa montagna di ghiaccio si innalza imponente,
facendo sembrare basso quel dedalo di cime che superano i seimila metri.
Col Nanga Parbat ormai alle spalle fu Roberto il primo ad individuare
la sagoma del K2, contornata dalla parete del Masherbrum, dei
Gasherbrum. Alcune tra le piu' alte montagne della terra sono li',
e la loro vista ci riempi' gli occhi ed il cuore finche' l'aereo si
tuffo' nella valle dell'Indo, facendole scomparire dietro le quinte
del Ladakh Range.
Sommando la rarefazione dell'aria dell'alta quota, la mancanza di
inquinamento atmosferico, il clima secco e la bassa temperatura, il
risultato e' una luce netta, tagliente, che scolpisce il paesaggio
nei minimi particolari, facendo brillare i colori in maniera
iperrealistica.
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Quando mi affacciai alla scaletta l'aria era fredda, innaturalmente
limpida, e la luce del sole la attraversava come una lama tagliente
stagliando ombre dai contorni netti e precisi. Appena scesi sulla pista
ci guardammo attorno increduli, e ci lasciammo andare ad un'esplosione
collettiva di entusiasmo, lanciando grida di gioia e scambiandoci
pacche sulle spalle sotto gli occhi esterefatti e divertiti dei locali.
Eravamo arrivati, finalmente. Ero tornato, finalmente. Di nuovo nel cuore
dei miei sogni. Anche la lieve difficolta' di respiro nel salire
sull'autobus che ci avrebbe portati fuori dall'aeroporto mi sembro'
una piacevole sensazione, qualcosa di noto, qualcosa che mi obbligava
a riprendere ritmi ed abitudini stranieri, ma che sento miei. Finalmente
a casa, pensai, e mi stupii di questo pensiero cosi' strano, di pensare a
quel luogo come 'a casa', ma l'unico modo che trovai per rispondere
al mio stupore fu di sorridere tra me e me.
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E' sempre la luce a fare da padrona, ritagliando le sagome degli oggetti
in maniera netta. (Lamastero di Stakna)
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Faceva freddo nei locali dell'aeroporto, ma non lo avvertivo. Mi
scaldavano i colori brillanti con cui sono decorate le colonne e
le travi di legno, ghirigori gialli, verdi ed azzurri su uno sfondo
rosso vivo, mi scaldava l'aria di festa paesana che si respirava tra
la gente venuta a prendere chi amici o parenti, chi semplicemente un
pacco contenente chissa' cosa che arrivava da chissa' dove, mi scaldava
l'allegria e la complicita' quasi tribale con cui tutti si rapportavano
con tutti. Perfino i militari, nonostante i tentativi di mantenere un
formale contegno, sembravano non riuscire a sottrarsi al contagio di
quell'atmosfera festosa e rilassata. Sbrigate le formalita' ci
incontrammo con Dorjie e Punchok, gli autisti delle due jeep che
ci avrebbero portati in giro nei giorni successivi, e ci avviammo
verso l'albergo.
Attraversare la citta', rituffarsi in quel vivace e caotico bazar
che e' Leh, pieno di improbabili negozi che vendono le cose piu'
impensabili, scoprire che, nonostante fossero evidenti i restauri
apportati ad alcuni edifici, il suo volto non era cambiato mi fece
sentire improvvisamente felice. Che contrasto di sensazioni rispetto
alla prima volta, quando, al primo impatto con quell'ambiente nuovo
e cosi' inusuale e apparentemente inospitale, ero stato preda di una
leggera inquieta diffidenza, probabilmente amplificata dalla mancanza
di sonno per aver viaggiato per 24 ore pressoche' ininterrottamente.
Stavolta li' mi sentivo a casa. Anche l'arrivo all'albergo, salutato
dai festosi 'julley' e dai visi sorridenti del gestore e dei suoi
familiari, fu un momento di festa. Non li conoscevo, ma fu come
incontrare vecchi amici. E non importava nulla se non c'era
riscaldamento, e mancava l'acqua corrente perche' altrimenti il
gelo della notte avrebbe fatto scoppiare le tubature. Niente avrebbe
potuto scalfire la felicita' che mi donava l'essere nuovamente li',
a sorseggiare del the nero aromatizzato con cannella e cardamomo
guardando i ghiacciai scintillare al sole.