Parlando di trekking

Parlando di trekking... Abbiamo sperimentato due itinerari, uno e' un classico del Ladakh, il Markha Valley trek, il secondo e' un percorso piu' impegnativo, poco frequentato, perlomeno nella sua interezza, si tratta del trek che dal lago Tso Moriri porta a raggiungere la strada Manali-Leh, dove generalmente questo trek si conclude. Noi abbiamo invece attraversato la Manali-Leh, e ci siamo diretti verso la valle di Nimaling, incrociando il percorso del Markha Valley, ma anziche' chiudere subito l'anello per ritornare a Leh ci siamo diretti al campo base del Kang Yatze, che abbiamo salito il giorno successivo, per poi fare ritorno a Leh ripercorrendo l'ultimo tratto del Markha Valley trek.
Non mi dilunghero' a descrivere i percorsi nel dettaglio, non volendo incoraggiare i trek "fai da te", per due buoni motivi. Il primo e' che, a mio avviso, una descrizione dettagliata comunque servirebbe a poco, essendo disponibili solo mappe molto approssimative sulle quali e' possibile seguire lo sviluppo del percorso, ma sarebbe veramente difficile usarle per trovare la strada autonomamente, e perdersi in quei luoghi non e' davvero consigliabile.
Il secondo motivo e' che ormai, con l'arrivo dei trekkers, il fattore turistico ha assunto un'importanza significativa per l'economia degli abitanti del luogo. Tanto le guide che i ponymen abitano in quelle valli e ne sopportano l'isolamento e la difficolta dei mesi invernali dando prova di una straordinaria capacita' di sopravvivenza e di utilizzo delle risorse offerte dall'ambiente. Ma ora devono affrontare anche le conseguenze dell'afflusso di stranieri e dell'impatto che questo ha sull'ambiente nel quale vivono da sempre in un delicatissimo equilibrio tra la necessita' di trarre nei mesi estivi quanto necessario per superare i gelidi inverni e l'imperativo di non esaurire le risorse disponibili. Percio' ritengo corretto e doveroso, sia nei loro confronti che nei confronti della loro cultura e del loro ambiente, non privarli dei mezzi di sussistenza offerti da queste attivita' a favore di qualche societa' straniera che si prenda la briga di fare qualche foto satellitare immettendo sul mercato mappe dettagliatissime e togliendo loro questa attivita' economica ancora compatibile, per il momento, con la salvaguardia del loro ambiente e della loro cultura. Credo che finche' saranno loro a condurre le carovane dei trekkers tutto potra' svolgersi nel massimo rispetto dell'ambiente, anche se, come diro' in seguito, si percepiscono gia' dei segnali negativi.


La carovana di ponies che trasporta l'occorrente per il trekking dal Tso-Moriri al Kang Yatse si dirige verso il primo passo impegnativo del trekking, 5.400 metri di quota. Il ponyman, pur avendo dei problemi ad un ginocchio e faticando a camminare, saliva a cavallo solo nei tratti piani o poco ripidi mentre nei tratti piu' ripidi o ad alta quota camminava conducendo il cavallo per le briglie.

A dire il vero non sono molti gli avventurosi che decidono di intraprendere trekking in quelle zone senza l'aiuto di una guida o, quantomeno, di un ponyman e qualche pony. Su tutti i gruppi che abbiamo incrociato durante i due trekking (direi una trentina in tutto) solo un paio di ragazzi francesi e un gruppo di tre ragazzi tedeschi si erano avventurati nel Markha Valley trek senza guida ne' cavalli. Del resto a vent'anni e con un buon allenamento si possono avere sia lo spirito d'avventura (incoscienza?) sia lo spirito di adattamento (o la prestanza fisica - invidia?) per affrontare in autonomia nove giorni di trekking su un percorso dove il fondovalle supera abbondantemente i 3.000 metri ma i passaggi chiave sono due passi, uno a 4.900 e l'altro a 5.200 metri di quota.
Il Markha Valley trek quindi puo' essere affrontabile, con tutte le riserve del caso, in autonomia, essendovi lungo il percorso praticamente un villaggio ad ogni tappa. Se la presenza di questi villaggi puo' fornire una qualche forma di rassicurazione psicologica, non bisogna assolutamente sottovalutare l'aspetto logistico fondamentale: durante questi trekking bisogna essere completamente autonomi ed autosuffucienti.
Innanzitutto bisogna ricordare che questi villaggi sono raggiungibili esclusivamente con i mezzi con cui ci siamo giunti noi, cioe' a piedi. Percio' tutto quello che vi possiamo trovare e' quello che vi si puo' portare a piedi o a cavallo.
Poco cibo, nessuna assistenza sanitaria, di medicinali non se ne parla neppure. Anzi, i locali sanno che generalmente i gruppi di trekkers sono forniti di medicinali, e ci e' capitato piu' di una volta che ci venisse chiesto aiuto per medicare una ferita, per alleviare il mal di denti di una anziana signora o per curare la fiaccatura o altri malanni di un cavallo.
Inoltre bisogna tenere molto ben presente che il poco cibo che si puo' trovare in questi villaggi costituisce la loro scorta alimentare per l'inverno, durante il quale gli abitanti saranno bloccati dalla neve e dal ghiaccio e non sara' loro possibile spostarsi per procurarsene dell'altro. Se chiederete del cibo ricordatevi che, a causa del loro grande spirito di ospitalita' i locali ve lo daranno, ma il cibo che voi mangerete manchera' a loro durante l'inverno e, anche se lo pagate, loro durante l'inverno non potranno nutrirsi masticando le rupie o i dollari che gli avrete lasciato.

L'isolamento totale e' uno degli aspetti piu' intensi ed affascinanti di questa esperienza, durante i primi nove giorni del trekking abbiamo incontrato solo qualche gregge di yak o di agili caprette tibetane...


Percio' il mio caldo consiglio e' di appoggiarvi ad una agenzia locale di trekking. Questa, per un prezzo ragionevole, provvedera' a procurare la guida, il ponyman con i cavalli ed a fornire tutto quanto il necessario.
Se questo e' vero per il Markha Valley trek, a maggior ragione lo e' per il Tso Moriri trek, dove per nove giorni sarete persi nelle propaggini dell'altopiano tibetano, senza incontrare villaggi, e men che meno strade, telefoni o altri mezzi di comunicazione con il resto del mondo, in solitudine pressoche' totale, costantemente sopra i 4.500 metri di quota e con l'attraversamento quotidiano di uno o due passi oltre i 5.000 metri!
Inoltre anche se in qualche modo (telefono satellitare?) in caso di emergenza si riuscisse ad organizzare una forma di soccorso in caso di necessita', esso arriverebbe via terra (a dorso di cavallo) con tempi dell'ordine di giorni. L'unica possibilita' di soccorso in elicottero e' data dagli elicotteri dell'esercito indiano che, ammesso che ve ne siano di disponibili, costerebbero una cifra esorbitante e non e' detto che riescano a raggiungervi poiche' gli elicotteri hanno difficolta' a volare oltre i 5.000 - 5.500 metri e, per quanto ne so, l'esercito indiano non organizza spedizioni di soccorso se non riceve tangibili garanzie di essere pagato (praticamente dovreste essere in grado di mettervi in contatto con qualcuno che paghi il soccorso, per cifre che si aggirano sull'ordine delle migliaia di dollari, prima che un elicottero si alzi in volo).
Mi sembra chiaro, a questo punto, che poter disporre di un cavallo in grado di trasportare rapidamente a quote piu' basse un trekker colpito dal mal di montagna o assicurarsi che le scorte di cibo non finiscano prima della conclusione del trekking siano da considerarsi requisiti fondamentali nella pianificazione di un avventura Himalayana in zone (fortunatamente) ancora relativamente poco battute. A qualcuno queste possono sembrare ovvieta', e non e' mia intenzione essere pedante o fare del terrorismo gratuito, ma vista la leggerezza che a volte sta nello zaino e nella testa di chi percorre anche le nostre, pur meno impegnative, montagne di casa mi sembra doveroso sottolineare questi aspetti.

... accompagnato dai pastori nomadi che nel periodo estivo spingono le greggi alle alte quote in modo da non sprecare nulla di quel poco che offre quell'immenso e brullo territorio (a me ha subito ricordato Fossati, "l'altipiano barocco d'oriente, per orizzonte stelle basse oppure... niente!")


Un esempio della particolarita' dell'ambiente in cui ci si trova a muoversi, e quindi della necessita' di una scrupolosa organizzazione e' dato dalla forte escursione termica. Durante il giorno, se il cielo non e' coperto (e di solito non lo e', a dispetto del monsone che in estate imperversa sul versante sud dell'Himalaya) il sole e' caldo e l'aria fresca, ci si puo' muovere tranquillamente in maglietta (e ci si puo' facilmente ustionare). Al calare del sole la temperatura scende bruscamente, e durante la notte arriva facilmente a parecchi gradi sotto lo zero. Mi e' capitato di notare, al campo base del Kang Yatse, che il torrente che scende dal ghiacciaio e che di giorno scorre come un torrente qualsiasi, alle tre del mattino, quando ci siamo alzati per iniziare la salita alla vetta, era diventato un unico blocco di ghiaccio, sul quale si poteva tranquillamente camminare, per poi tornare a scorrere normalmente il giorno dopo!


L'alba lambisce le cime delle montagne circostanti, ma il campo e' ancora immerso nella notte. Quella cosa bianca che si puo' notare lungo i profili della tenda verde e' ghiaccio formatosi durante la notte. Non si tratta di cristalli di brina ma di una vera e propria crosta di ghiaccio trasparente.

Altro aspetto da non sottovalutare e' che, per chi non conosce bene i luoghi, l'orientamento non e' sempre facile, e perdere la strada potrebbe significare semplicemente un po' di cammino in piu' oppure l'impossibilita' di trovare dell'acqua. Specialmente in zone come quella tra il lago Tso Moriri e la strada Manali-Leh mancano dei punti di riferimento riconoscibili in distanza, vi sono soltanto queste enormi ondulazioni, questi "panettoni" tondeggianti, molto simili tra di loro, tra l'altro solcati da parecchi sentieri di greggi e piste di pastori. La nostra guida, avendo constatato che avevamo una certa abitudine e capacita' di muoverci autonomamente in ambiente montano, a volte ci spiegava il percorso e ci mandava avanti da soli mentre col ponyman finiva di smontare il campo e di caricare i cavalli. Ma una volta che ho lasciato andare avanti il gruppo e mi sono attardato a fare qualche foto ho potuto constatare per esperienza diretta che, in mancanza di indicazioni precise da parte della guida, non e' cosi' difficile perdere la strada, e non e' una sensazione piacevole!

Una tenda di pastori nomadi, fatta di tessuto di pelo di yak. Uno dei tanti segni evidenti che, anche se politicamente ci troviamo in territorio indiano, la cultura e i modo di vivere sono chiaramente tibetani.


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